COBOT: robot collaborativi o cooperativi?

Da diverso tempo ci siamo abituati a sentire ed utilizzare il termine ‘cobot’, unione delle parole ‘robot’ e ‘collaborativo’. Con questo termine indichiamo dei robot di nuova generazione che, per l’appunto, collaborano con l’uomo nello svolgimento di diverse mansioni.

Questo principio viene rimarcato spesso dalle case produttrici di robot 4.0, perché ciò che li distingue dalla tipologia industriale è la capacità di lavorare senza bisogno di gabbie perimetrali o nell’isolamento totale dagli operatori.

Approfondiamo meglio la questione e vediamo se e quando questo principio è vero.

Robot collaborativi: in che senso?

Assenza di gabbie perimetrali, protezioni esterne, adeguamento alle norme di sicurezza ISO 10218/TS 15066. Quando si parla di cobot ci si focalizza molto su questi aspetti, che rimangono elementi importanti ma non sufficienti per descriverne la collaboratività.

Se analizziamo i significati dei termini ‘collaborativo’ e ‘cooperativo’ notiamo una sottile differenza che permette di meglio comprendere qual è la funzione dei cobot: la prima parola indica “Partecipare attivamente insieme con altri a un lavoro […] o alla realizzazione di un’impresa, di un’iniziativa, a una produzione”; cooperazione invece ha “un significato più generico e più astratto di collaborare” e significa “operare insieme con altri, contribuire con l’opera propria al conseguimento di un fine” (Treccani, dizionario online).

Trattandosi di sinonimi non sorprende che spesso parlando di cobot i due concetti di mescolino, tanto che si è arrivati a parlare correntemente di HMC (human/machine cooperation). In realtà gli esperti di automazione tendono a definire ‘cooperativi’ dei robot che lavorano insieme  su un processo produttivo come parte di un sistema dipendente: una sorta di team di robot che lavora sulla stessa mansione.
I robot ‘collaborativi’ invece, riprendendo la definizione sopracitata, partecipano “attivamente con altri a un lavoro”, fianco a fianco con l’uomo, e le loro mansioni si sovrappongono.

Se è vero che i robot collaborativi non necessitano di gabbie perimetrali per isolarle dal personale di un’azienda, è anche vero che a seconda dell’applicazione e dello spazio in cui vengono collocati può essere necessario installare misure di sicurezza di diverso grado.
In un articolo sul sito di Robotiq ciò viene analizzato più nei dettagli e ne riprendiamo qualche punto per spiegare meglio il fattore sicurezza dei robot collaborativi.

cobots ur cooperate

Sicurezza dei cobot

Posto quindi che non si mette in discussione lo scopo del cobot, quello di cooperare con le persone, le possibili ambiguità riguardano il suo funzionamento in concreto. Esistono infatti diverse tipologie di robot collaborativi, ma solo una di esse può essere utilizzata senza elementi aggiuntivi di sicurezza.

Dal 2016 è in atto la normativa sulla sicurezza ISO10218/TS 15066, nata per rispondere alle nuove esigenze emerse dal diffondersi dei cobot, che fornisce delle specifiche da rispettare per la prevenzione e il controllo dei rischi nell’utilizzo di robot collaborativi. Maggiori informazioni sono contenute in questo articolo sul sito Iso.org.

  • Safety Monitored Stop: il robot lavora da solo per la maggior parte del tempo e occasionalmente l’operatore si interfaccia con esso. La persona può entrare nello spazio di manovra del robot, ma se oltrepassa il perimetro di sicurezza predeterminato si blocca (non si spegne, si inseriscono solamente i freni).
  • Hand Guiding: si insegna un percorso al robot guidandolo manualmente, ed è tipico dei robot in ambito industriale. Per renderli maggiormente collaborativi è necessario utilizzare dei sensori aggiunti, come il Force Torque Sensor di Robotiq. Sono comunque necessari strumenti di sicurezza.
  • Speed and Separation Monitoring: laser o sistemi di visione monitorano l’ambiente di lavoro, e se l’operatore si avvicina troppo il robot rallenta o si ferma.
  • Power and Force Limiting: si tratta della tipologia di robot maggiormente collaborativa, e riesce a percepire anormali livelli di forza lungo il suo percorso. Se sente che il suo carico è eccessivo si blocca, ed è programmato per dissipare le forze in caso di impatto con una superficie vasta. Dato che questi cobot possono percepire la forza imposta è possibile effettuare l’autoapprendimento, spostando il braccio manualmente e insegnandogli il movimento da ripetere. Se il movimento guidato, di cui abbiamo parlato sopra, aiuta la collaborazione robot-umano, ciò non indica che il robot sia intrinsecamente sicuro. Il controllo di forza invece fa proprio questo.

La gamma di prodotti Universal Robots rientra in questa categoria, ed è addirittura possibile controllare i parametri di forza per ogni singolo giunto del cobot.
Inoltre gli UR3, UR5 e UR10 possiedono anche gli ulteriori parametri di sicurezza sopradescritti, dato che è possibile creare una barriera invisibile con confini che non devono essere valicati dall’operatore, e in caso contrario lo fanno rallentare o fermare.
A seconda dell’applicazione per cui deve essere utilizzato, si possono scegliere dei parametri di sicurezza normale o ridotta (in realtà, nonostante il nome, è la modalità di maggior sicurezza).

Insomma, i robot sono collaborativi se possiedono livelli di sicurezza tali da poter lavorare accanto agli operatori senza pericolo, ma è chiaro che ogni applicazione e impresa rappresenta una situazione a sè, che deve giustamente essere valutata con una corretta analisi di fattibilità. Detto questo, concludiamo con un video che mostra il caso dell’azienda Nichrominox in Francia, dove i cobot vengono utilizzati per diverse applicazioni, spesso a contatto con degli operatori.

 

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